Far West Moderno
Vivere nel vecchio West in tempi attuali, con la stessa passione e dedizione dei secoli scorsi.
di Camilla Lorenzini
16 LUGLIO 2022
Far West Moderno
Per parte della mia infanzia e adolescenza, l’unica disciplina che ho praticato con sufficiente regolarità è stata l’equitazione. Avendo la fortuna di abitare a due passi da un maneggio, ho cominciato all’età di otto anni a frequentarlo, prendendo lezioni di monta all’inglese ed avvicinandomi al salto ostacoli. Finite le scuole medie ho abbandonato l’impegno che stava diventando troppo pressante, richiedendo molti allenamenti e la partecipazione a svariate gare sul territorio nazionale. Percepivo un atteggiamento incentrato soprattutto sul rendimento agonistico, che trascurava la bellezza e la magia del rapporto unico che si instaura tra cavallo e cavaliere; senza poi contare il fatto che l’unico posto dove si poteva cavalcare era l’arena del maneggio.
Pur essendo sempre stata abituata alla monta inglese subivo il gran fascino delle storie che parlavano del vecchio West, dei mustangs che correvano liberi nelle sconfinate praterie americane ed i cowboys che trascorrevano intere giornate sulla sella, divenendo un tutt’uno con il loro destriero e incarnando lo spirito selvaggio del Far West.
Ecco, un mio grande desiderio era potermi immergere nella vita del West e della vecchia America, sperimentando i ritmi estremi dei mandriani, scanditi dal sorgere del sole ed il tramonto, avvolti dallo scalpiccio costante degli zoccoli dei cavalli, dai loro nitriti e dall’abbaiare dei cani.
Durante l’inverno 2013-14 ho cominciato ad interessarmi in modo più approfondito alla possibilità di trascorrere l’estate in un vero ranch americano, sicura che in qualche modo avrei trovato l’opportunità che stavo cercando. Da qualche tempo ero iscritta alla piattaforma online Helpx, che dà la possibilità a persone volenterose di donare il proprio tempo per contribuire alle attività di una fattoria/azienda agricola in cambio di vitto e alloggio. Così la mia ricerca si è concentrata inizialmente su stati come Montana, Wyoming, North e South Dakota, con l’obiettivo di trovare un ranch di cavalli come quelli che avevo visto nei films. La maggior parte degli hosts che trovavo però possedevano piccole fattorie con qualche capo di bestiame, al massimo un cavallo o due. Senza scoraggiarmi ho continuato a scorrere fra l’interminabile lista di posti, fino a che, eccolo: Valley View Ranch Equine Rescue, era esattamente quello che stavo cercando! Si trattava di un centro di recupero cavalli, selvaggi e maltrattati, nel cuore della California a otto miglia dal paesino di King City. Certo non erano le praterie del nord che mi ero inizialmente immaginata, ma se volevo scoprire il West degli Stati Uniti, quale posto stava più ad ovest della California?!
Era gennaio e immediatamente contattai Marlene, la responsabile e direttrice del ranch; dopo uno scambio di un paio di e-mails il mio soggiorno estivo era accordato!
Sarei partita il 29 luglio da Linate, uno scalo a Londra e poi destinazione finale San Francisco: al mio arrivo Marlene sarebbe stata lì ad aspettarmi.
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Valley View Ranch
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Il primo impatto col ranch l’ho avuto in piena notte: ero stanchissima dopo molte ore di viaggio e pervasa da tante emozioni. La prima cosa che ho notato è stato un cielo cosparso di stelle chiarissime che illuminavano parte di un immenso recinto da dove provenivano gli sbuffi quieti dei cavalli. Nella spianata di terra polverosa adiacente all’ingresso principale del pascolo c’erano una piccola casetta mobile ed una roulotte, quest’ultima sarebbe stata il mio alloggio durante la permanenza a Valley View. Giusto il tempo di parcheggiare il grande fuoristrada rosso, scaricare la mia valigia, dare la buonanotte a Marlene e la volontaria tedesca Linda e mi sono fiondata sotto le coperte, crollando in un sonno profondo. Il mattino seguente ho avuto la possibilità di guardarmi meglio attorno: la mia roulotte era condivisa con un’altra ragazza, Janelle, originaria del sud della California ma che viveva lì come volontaria quasi a tempo pieno. Lei stava nella parte anteriore che era una vera e propria camera, mentre a me spettava il divano nell’ambiente principale, una sistemazione molto spartana date le ridotte dimensioni del divano e l’unica coperta sgualcita che mi copriva. Ma nell’insieme era il posto perfetto, proprio l’alloggio ideale per i cowboys delle mie fantasie.
Dopo essermi vestita con i jeans da lavoro e la camicia a quadri mi sono recata all’abitazione principale, dove viveva Marlene, che la sera prima quasi non avevo nemmeno notato. Lì ho potuto prepararmi un’abbondante colazione americana con uova, pane fritto e abbondante caffè in compagnia di Linda e Janelle. Mentre mangiavo con gusto è entrato in cucina Scott, il compagno di Marlene, che si è subito dimostrato cordiale e di grande compagnia, con il quale avrei condiviso ore di chiacchierate in cucina durante la preparazione dei pasti. Scott era stato un grande mandriano e possedeva ancora numerosi capi di bestiame, ma al momento si dedicava soprattutto a svolgere svariati lavori di manutenzione, cosa di cui i ranch hanno costante bisogno.
Dopo colazione Linda e Janelle mi hanno accompagnata alla scoperta del ranch, mostrandomi i dintorni ed illustrandomi tutti i compiti che avrei dovuto svolgere assieme a loro. I cavalli erano tenuti in diversi recinti: alcuni passeggiavano liberi nel grande pascolo purtroppo arso dalla siccità, altri stavano in una serie di box all’aperto, dove era più facile tenerli d’occhio, in quanto erano animali feriti o in corso di doma. Altri ancora venivano ospitati in paddocks di medie dimensioni situati tutt’attorno l’abitazione principale. Completavano la proprietà un grande pollaio con anatre e galline, una casupola in legno adibita a selleria ed un magazzino straripante di attrezzi e lavori avviati.
La giornata di noi volontarie cominciava alle 7.00 in punto, quando dovevamo trovarci davanti al deposito di fieno: sveglie e vestite con tanto di giacca pesante per affrontare la bruma mattutina che avvolgeva tutte le colline attorno a noi.
Lì si cominciava a caricare di fieno la macchinina elettrica – di quelle che si usano nei campi da golf – e poi ci si dirigeva al pascolo maggiore, effettuando un divertente slalom tra i grandi copertoni sparpagliati qua e là che fungevano da mangiatoie, distribuendo la colazione a tutti i cavalli. Si proseguiva poi a nutrire gli animali negli altri recinti, finendo il compito tutte piene di fili gialli e impolverate, ma soddisfatte e divertite dalla corsa in mini car, oltre che affamate e pronte all’attesissima colazione (per quanto riguardava me …).
L’immenso frigorifero in puro stile americano era sempre pieno, così come le dispense fornite di ogni genere di spezie, farine, scatolame e utensili di ogni genere. Il primo che arrivava in cucina preparava la grande caraffa di caffè con il filtro, che sarebbe poi bastata a tutti i presenti per l’intera mattinata. Poi la cucina era a completa disposizione: french toasts, uova strapazzate, yogurt, affettati, cereali, frutta, pane con qualsiasi tipo di crema spalmabile e biscotti si alternavano per concedermi ogni giorno una prelibatezza diversa per cominciare la giornata al pieno di energia.
Una volta rifocillata mi dirigevo nuovamente dai cavalli: bisognava riempire tutte le vasche d’acqua e pulire i box dagli escrementi del giorno prima, un lavoro che occupava gran parte della mattina. Inoltre si raccoglievano le uova fresche dal pollaio e le zucchine che crescevano abbondantemente nell’orto, facendo attenzione a non infastidirei numerosissimi calabroni.
Già verso le 10 di mattina il termometro posto vicino alla selleria raggiungeva i 40°C, costringendomi a lavorare con la bottiglietta d’acqua costantemente appresso: arrivavo a consumarne due litri solo durante le prime ore di lavoro. Il caldo non era però mai opprimente, ma secco e addirittura piacevole; nel pomeriggio poi, non avendo orari o compiti fissi, si potevano tranquillamente fare delle soste per sottrarsi dalla calura, riprendendo in seguito le attività di maneggio.
Avevamo il permesso di montare tutti i cavalli che volevamo, tenendo sempre presente il comportamento di ciascun animale, in quanto ognuno di loro aveva esigenze proprie e poteva essere più o meno docile. La prima volta che sono uscita nel grande pascolo per prendere il maestoso cavallo nero che mi era stato consigliato, ho provato un brivido lungo la schiena quando mi ci sono avvicinata con la cavezza in mano, pronta per mettergliela attorno al collo. Il ricordo del morso in Brasile era vividissimo in me e mi era impossibile non pensarci, mentre cercavo di non far intendere al cavallo la mia tensione.
Per fortuna la più grande lezione che ho imparato proprio cavalcando è che si cade e ci si ferisce, ma l’importante è rimontare subito in sella. Qualsiasi bravo cavaliere è stato disarcionato, anzi, come mi avrebbero raccontato poi alcuni cowboys, per diventare esperti bisogna perdere il conto delle cadute e non farsi scoraggiare da esse.
Forte non è colui che non cade, ma chi, dopo essere caduto, trova la forza di rimettersi in piedi.
Ho conosciuto tantissime persone che dopo la prima caduta da cavallo hanno abbandonato l’equitazione; io volevo mettermi alla prova e superare la grandissima paura vissuta in Brasile, per questo ero andata a lavorare in un ranch. Non era solo un sogno d’infanzia, ma soprattutto un modo per affrontare il passato e guardare in avanti con coraggio.
Al Valley View Ranch ho proprio potuto mettere in pratica questa filosofia, ritrovando la fiducia in quegli animali meravigliosi che sono i cavalli.
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